Nella palude alla foce del Cornia

Al limite settentrionale del golfo di Follonica, già quasi all’ombra delle ciminiere di Piombino, sfociano le acque del Cornia, abbracciando nel loro ultimo tratto un lembo di terra ricco di testimonianze storiche e di alto interesse naturalistico. Lo attraversa la direttrice della Strada Geodetica, che taglia attraverso i campi correndo parallela alla costa; da qui, seguendo le indicazioni, è possibile raggiungere l’ingresso dell’Oasi WWF Orti-Bottagone, dove è possibile parcheggiare e raggiungere, con una ventina di minuti di cammino, la spiaggia.

Biancospino fiorito

Biancospino fiorito

La strada bianca che conduce al mare è fiancheggiata dal Fosso Cosimo; affacciate su di esso sorgono delle baracche per la pesca, macchie di colore e lamiera da cui Tom Sawyer potrebbe far capolino da un momento all’altro. Davanti alle costruzioni, in traballante equilibrio su secche zampe di legno, sono tese le reti per la pesca, fragili trame di un ragno ubriaco.

Capanni per la pesca lungo il Fosso Cosimo

Capanni per la pesca lungo il Fosso Cosimo e alla foce del Cornia

A dominare il paesaggio, in forte dissonanza con esso, le due alte ciminiere e gli impianti della centrale termoelettrica, il cui profilo si distingue sempre più chiaramente man mano che ci si avvicina al mare.

Giunti alla spiaggia, il Cornia fa la sua comparsa sulla destra, e confluisce con la strada ed il Fosso; sulla sinistra, a guardia del mare, ciò che rimane della Torre del Sale. L’edificio, che oggi ben poco conserva del suo originario aspetto turrito, costituiva uno dei nodi del sistema di avvistamento che dal Cinquecento (sebbene alcune torri risalgano ad epoca ancora più antica) proteggeva tutta la costa toscana, e le cui tracce si possono ancora oggi chiaramente individuare.

La Torre del Sale con dietro le ciminiere della centrale termoelettrica

La Torre del Sale con dietro le ciminiere della centrale termoelettrica

Le fonti storiche ricordano questo luogo per l’increscioso abbandono delle guardie che vi erano stanziate nel 1568, immediatamente scoperto dagli ufficiali di ronda sulla spiaggia. Oltre a prevenire gli attacchi dal mare, alla torre era riservato anche l’importante compito di sorvegliare le saline, qui attive fino al XVI sec. Trasformato in fortilizio dai Lorena, l’edificio fu poi la sede dei sovrintendenti ai lavori di bonifica dell’area e fino agli anni Sessanta, oramai disarmato, ospitò un distaccamento della guardia di finanza. Oggi, visto dal mare, per una beffarda illusione ottica sembra la poppa di un bastimento che si allontana verso le montagne…

Mentre la torre è sempre accessibile, l’ingresso all’oasi WWF è regolamentato; la visita è possibile il sabato e la domenica ad orari prestabiliti, con l’accompagnamento della guida ambientale, con prenotazione obbligatoria soltanto nei mesi di giugno, luglio e agosto; il biglietto è di 10 o 8 euro, con la riduzione.

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La mappa dell’oasi con gli orari di visita

L’oasi, che si estende per 113 ettari ai due lati della strada Geodetica, è un’istantanea di come tutta l’area si presentava dall’antichità fino al 1800: è l’ambiente della palude, malsano, difficile da abitare e incoltivabile, ma risorsa indispensabile per la fauna e conseguentemente terreno privilegiato per la caccia e la pesca. Dal 1991 in quest’area, isolata e protetta, si fermano e nidificano almeno 203 diverse specie di uccelli. Gli stagni che la costellano appartengono a due ecosistemi diversi tra loro, separati dalla strada: verso terra (Orti) l’acqua è salmastra, alimentata dal mare e dipendente dalle maree, e consente la crescita soltanto di salicornie e alimione; verso il mare (Bottagone) invece è dolce, alimentata dalla falda sotterranea, e la vegetazione comprende canneti e tamerici.

Gli specchi d'acqua salmastra di Orti

Gli specchi d’acqua salmastra di Orti

Gli specchi d'acqua dolce di Bottagone

Gli specchi d’acqua dolce di Bottagone

Sebbene non tutta la superficie dell’oasi sia accessibile, sul sentiero si aprono diversi punti di osservazione: le passerelle coperte da canne consentono di spiare indisturbati la vita sull’acqua e le altane di godere di una diversa prospettiva sulla pianura.

Una Garzetta in volo sulla palude

Una garzetta in volo sulla palude

In questa stagione è possibile avvistare il falco di palude, i fenicotteri, sempre troppo lontani per sembrare più che puntini rosati, aironi cinerini, folaghe e le immancabili garzette; sulla terraferma accompagnano i passi dei visitatori passerotti e pettirossi.

folaga

pettirosso

Visitando l’oasi nel pomeriggio i suoni, i richiami e i riflessi del sole radente contribuiscono a completare un quadro di incredibile e inaspettata armonia, nonostante la Geodetica a pochi metri, l’alta tensione che spartisce il cielo e i centri abitati tutto intorno; e anche la centrale termoelettrica, un po’ sfumata in controluce e a suo modo giustificata dalla storia di un ambiente così ricco e complesso, non stride più così tanto come prima.

Il lago di Burano

Tra le tante aree umide costiere della Maremma, un luogo di grande fascino è sicuramente il lago di Burano; e non solo per il paesaggio o i facili avvistamenti di avifauna, ma anche per la suggestione che esercita la sua storia, per quanto relativamente recente. Per una volta non si parla infatti di laghi preistorici o porti romani, ma della prima oasi WWF in Italia, nata quasi per caso, poco sotto l’Argentario, in corrispondenza della vippissima Capalbio.

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Il lago visto dal mare verso Capalbio (sopra) e dalla terraferma verso il mare (sotto)

Qui nel 1967 fu creata la prima Oasi, sottraendo l’area allo sfruttamento turistico al quale era destinata. Il sistema che essa salvaguarda si compone di un basso lago costiero salmastro formato da due immissari, profondo circa un paio di metri e costeggiato, dalla parte del mare, da un “chiaro”, in dialetto maremmano uno stagno. A dividere questi specchi d’acqua dal mare è uno stretto tombolo sabbioso, sul quale si sviluppa la duna. Oggi tutta l’area è una Riserva Naturale dello Stato la cui gestione è affidata al WWF; vi si accede dal centro visite presso Capalbio Scalo, l’ingresso è consentito soltanto con la guida naturalistica e si paga un biglietto di 10 euro.

Dal centro visite si può arrivare liberamente alla riva del lago, dalla parte della terraferma, lungo un percorso con pannelli esplicativi che conduce ad un pontile.

germani

Una coppia di germani presso il pontile

La visita guidata ha invece luogo sul tombolo, cui si arriva aggirando il lago con l’auto. Il percorso, disseminato di capanni di avvistamento, è quasi interamente accessibile ai diversamente abili e si snoda attraverso la macchia che ricopre la duna. Sebbene questa non sia la stagione migliore per gli avvistamenti di uccelli (i mesi di ottobre e novembre dovrebbero essere i più adatti) affacciarsi dalle strette finestre dei capanni ricompensa comunque sempre con qualche soddisfazione. Grazie anche alla strumentazione messa a disposizione delle guide è possibile avvistare cigni, germani, folaghe, garzette, aironi bianchi e cinerini e sterne, oltre agli onnipresenti gabbiani. Camminando noi abbiamo avuto anche la straordinaria fortuna di avvistare quattro aironi rossi (riconosciuti a posteriori grazie a un bell’ingrandimento), che pare siano molto rari in questa zona.

aironi

Aironi rossi in volo

Attraverso il percorso la guida illustra le caratteristiche del bosco: dalla formazione della duna alle piante più antiche che vi si nascondono, come una fillirea di più di cinquecento anni: all’apparenza un normale cespuglio, a guardar bene si presenta come un intrico complicatissimo di rami e tronchi pieno di diramazioni.

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La Fillirea e il dettaglio delle foglie

Il sentiero continua poi attraverso la macchia mediterranea, costeggiato da ginepro, cisto, mirto, lentisco. Lungo il percorso è piacevole scoprire con quanta facilità si possano individuare le tracce del passaggio della fauna locale, come le orme dei cinghiali o quelle delle volpi.

macchia

Il sentiero nella macchia mediterranea

Sulla duna è stata anche individuata una sughera, sconosciuta fino a pochi decenni fa e quindi mai sfruttata per il suo prodotto, che si compone adesso di tre tronchi originati dallo stesso ceppo centrale. La sughera, dato il suo scarso rendimento (la corteccia può essere estratta a intervalli di una decina d’anni) non può essere coltivata e viene sfruttata soltanto laddove cresce naturalmente, in una ridotta fascia che va dal Portogallo alle coste tirreniche dell’Italia.

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La quercia da sughero centenaria all’interno dell’oasi

Terminato il percorso lungo il lago, attraversando la parte più recente e più fitta della duna, dove il sentiero non è segnato, è possibile accedere al mare. La spiaggia non rientra nel Parco, ma è comunque salvaguardata dallo sfruttamento turistico e mantiene il suo aspetto selvaggio, un po’ come il tratto incluso nei confini del Parco dell’Uccellina.

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La duna vista dalla spiaggia, la costa verso l’Argentario e verso sud.

Le visite guidate all’Oasi di Burano sono possibili nei mesi da settembre a maggio la domenica ed i festivi alle 10 ed alle 14.30. Dopo aver trascorso una mattinata nell’Oasi, la giornata può essere completata con una visita a tema archeologico, presso Ansedonia, dove si trovano le installazioni portuali antiche, ed alla città romana di Cosa, che dista una decina di minuti in macchina dal lago.

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Il lago ed il chiarone (in primo piano) visti dalla torre di osservazione sul tombolo